San Liberatore, parla il direttore del presidio, Marino Iommarini: personale di grande generosità e professionalità

Non sono semplici numeri o solo dei nomi. Sono uomini e donne che dal 9 Marzo scorso hanno avuto uno stravolgimento professionale e per un verso esistenziale, cambiando abitudini, ritmo e stile di vita, sacrificando la propria famiglia e talvolta mettendo seriamente a repentaglio la loro sicurezza nel momento più topico della diffusione virale. Sono medici e infermieri che abbiamo visto in questi mesi in cui il tempo era sospeso e l’incertezza del domani regnava di pari passo con il crescente evolversi della pandemia virale, dietro ad una maschera, ricoperti e bardati al punto che sembravano robot senza un cuore, un sentimento o peggio ancora un’emozione. Insieme a costoro dietro le quinte, in una complessa macchina il cui funzionamento era fondamentale per coordinare ogni istante, ogni azione e far fronte alle esigenze emergenziali che di volta in volta si creavano, c’era il direttore sanitario del Presidio, il Dott. Marino Iommarini, nella cabina di regia “invisibile” insieme alla collega della direzione sanitaria provinciale Maria Mattucci, sua concittadina e al pari del suo omologo schiva alle luci della ribalta.
Com’è stata questa esperienza con il Covid 19 Dottor Iommarini?
Non avrei mai immaginato di ritrovarmi in una situazione del genere, con un Ospedale che all’improvviso interrompe le sue attività ordinarie e si ritrova a far fronte a una situazione emergenziale scoppiata di punto in bianco con il primo caso in Atri. E’ venuto giù il mondo, ma non per questo ci siamo arresi e abbiamo messo subito all’opera le nostre migliori qualità, non solo professionali, ma soprattutto umane. La risposta è stata tempestiva e straordinaria, come quando si è chiamati in guerra e bisogna presentarsi al comando militare più vicino per difendere la Patria, senza indugiare e senza risparmiarsi.
Oggi a distanza di alcuni mesi, con una situazione che sembra normalizzarsi e la forza virale attenuarsi, a chi va il primo pensiero?
Sicuramente al personale dell’Ospedale San Liberatore che è stato a dir poco eccezionale con una grande collaborazione, o meglio con un grande coinvolgimento umano che va oltre la professione e il dovere deontologico al quale ogni sanitario è chiamato. E’ stato un momento irripetibile, unico, lavorando con passione e senza pari, sapendo che la corsa contro il tempo era fondamentale per salvare la vita dei malati.
Quando è cominciato tutto nel San Liberatore ?
Da quel maledetto 9 Marzo, quando abbiamo scoperto che il virus era arrivato anche nel nostro territorio con contagi che si moltiplicavano giorno dopo giorno, e la trasformazione del nostro ospedale come punto di riferimento non solo del territorio in cui esso opera generalmente ma anche da tutta la regione e addirittura oltre.
Quanti sono stati i malati e i presunti contagiati che sono arrivati in Ospedale?
La nostra struttura ha ricevuto, durante l’emergenza, pazienti anche da fuori regione, per un totale di oltre 400 casi di sospetti malati , tra cui molti accertati positivamente e con un afflusso temporalmente concentrato in pochissimi giorni. Considerando che la nostra trasformazione avveniva gradualmente, abbiamo dovuto mettere in sicurezza anche i degenti pre-covid per evitare qualsiasi rischio di contagio.
Ad oggi com’è la situazione?
Al momento è ricoverata una sola paziente, e con le cautele del caso e il rispetto delle norme, stiamo riacquistando una normalità che si va quotidianamente consolidando con la riapertura dei reparti e dei servizi ambulatoriali all’utenza che è stata costretta ad aspettare la conclusione del fenomeno virale. Dallo scorso 8 Giugno siamo tornati pienamente operativi e abbiamo messo in sicurezza chiunque acceda al San Liberatore con il controllo, dall’ingresso principale, della temperatura corporea.