La cattura del boss Messina Denaro e i suoi fiancheggiatori. L’esclusiva intervista al Generale dei Carabinieri Luigi Robusto per anni alla guida della Sicilia e Calabria

La cattura del boss Messina Denaro e i suoi fiancheggiatori. L’esclusiva intervista al Generale dei Carabinieri Luigi Robusto per anni alla guida della Sicilia e Calabria

“Cosa ho provato quando ho saputo dell’arresto del boss Matteo Messina Denaro? Una grande commozione. Ero a Pescara ed è stato un mio caro amico a chiamarmi al telefono per dirmi della notizia della cattura del latitante. Per un attimo sono rimasto con il fiato sospeso, senza profferire una parola, mentre la mente riavvolgeva il nastro riportandomi in quella terra dove sono stato sino a qualche anno fa.”  Sono le parole del Generale di Corpo d’Armata dei Carabinieri, a riposo da poco tempo, Luigi Robusto, cittadino onorario della città di Atri il quale ci rilascia questa breve intervista alla luce della lunga esperienza professionale culminata con la direzione dell’Arma dei Carabinieri in Sicilia e Calabria. In mezzo secolo di servizio nella Benemerita di latitanti pericolosi ne ha incontrati e catturati molti in diverse sedi in cui ha prestato servizio e le indagini sul boss della mafia che ha condotto nella sua esperienza in Sicilia sono state sempre vicino all’individuazione del covo in cui si rifugiava, con arresti eccellenti di fiancheggiatori e sodali. Generale in questi giorni si legge sui giornali e si ascolta in tv di resa del numero uno di Cosa Nostra come se si volesse sminuire il lavoro della magistratura e degli inquirenti. Qual è la sua opinione?

Ognuno è libero di formulare le ipotesi che ritiene ma io la considero una vittoria dello Stato, della magistratura e delle forze dell’ordine che non si sono mai risparmiate in questi anni pur sapendo che non sarebbe stato facile catturare Messina Denaro che godeva di protezioni e poteva contare su un sistema di coperture. Sarà stata anche la fortuna a dare una mano agli inquirenti, ma questo nulla toglie al grande lavoro ininterrotto che è stato fatto.

Possibile qualche soffiata?

Se fosse così sarebbe un atto di fiducia verso le Istituzioni, gesto che in questi trent’anni non è stato fatto e allora potrebbe dirci che qualcosa sta cambiando in quella terra e nei siciliani, ed è sicuramente un fatto positivo. Ma parlare solo di resa o soffiata è irriguardoso verso chi non si è mai tirato indietro nella ricerca, sacrificando la propria vita, i propri affetti e pagando anche un caro prezzo.

Si parla con insistenza di colletti bianchi e persone insospettabili che avrebbero garantito la latitanza. Il Procuratore De Lucia ha parlato di “borghesia mafiosa” Lei è d’accordo?

Che ci siano state forme di protezione a tutti i livelli questo è fuori discussione come del resto accertato in questi anni dalla Magistratura e le parole del procuratore della Repubblica lasciano intendere che le indagini andranno avanti per scoprire i collusi e una fitta rete di complici come sta venendo fuori in queste ore.

Il Procuratore De Lucia era da poco arrivato a Palermo dal giorno dell’arresto di Messina Denaro, dopo aver diretto la procura di Messina, lei lo conosceva?

Conosco De Lucia da molto tempo e l’ho chiamato per condividere la soddisfazione di questo importante obiettivo raggiunto. E’ un uomo di grande spessore culturale, riservato e professionista e sono convinto che donerà tutto se stesso in questa inchiesta per la grande fede nei confronti dello Stato.

Messina Denaro, da quanto abbiamo appreso, si faceva selfie e comunicava con persone attraverso il cellulare. Un modus operandi non comune tra i latitanti. Era segno di onnipotenza dello stragista o una strategia per passare inosservato con il falso nome di Andrea Bonafede?

Direi l’uno e l’altro insieme. In questi anni di indagine abbiamo avuto un’idea ben precisa di Messina Denaro, prima stragista e poi impegnato negli affari, uno stereotipo del tutto diverso dal classico mafioso di un tempo. La mafia di laggiù viene alimentata da altre mafie che esistono in tutto il territorio come l’indifferenza, l’ignavia , quella di  chi non punisce chi sbaglia e non premia chi fa bene. La forza di taluno che è sceso in piazza per festeggiare l’operazione di polizia rappresenta il coraggio di chi non l’ha avuto ieri perché non si fidava. Questa è anche una delle ragioni per cui quando si cerca un latitante non si agisce con il personale del posto ma con quelli di altre regioni per evitare problemi di sorta.

La cattura del latitante può creare un vuoto nell’organizzazione e quali sono gli scenari possibili tra le varie famiglie mafiose?

Ndrangheta, camorra, mafia e sacra corona unita sono realtà diverse e seguono criteri distinti. La camorra è un fenomeno pervasivo che coinvolge tutto e tutti mentre  la mafia ha dei suoi capi ed è un’organizzazione piramidale, la ndrangheta è senza dubbio un’organizzazione più solida ben ramificata all’estero. Se noi riusciamo a dimostrare che c’è un capo superiore a quello che si sono dati forse potremmo dire che ci stiamo avviando verso una strada diversa che può fornire delle prospettive migliori.  La mafia esiste se non c’è uno stato di diritto capace di dire con i fatti che è più forte.

Ha mai avuto paura per la sua incolumità nel corso degli anni in cui ha comandato i suoi uomini in Sicilia e Calabria?

Assolutamente si, forse perché ho avuto il coraggio di essere più che mai me stesso e di morire per lo Stato, sogno che è sempre stato in me e sempre lo sarà. In quella terra ho trovato in molti giovani delle figure stupende ed era triste dover constatare che bisognava difendere i giovani dagli adulti perché non fornivano loro quegli esempi che andavano cercando. Ho trovato davanti alla porta dei mafiosi immagini di Padre Pio e la Madonna e mi sono interrogato sul perché di questo: loro pensano di essere nel giusto. Credo più che mai che per combattere certi fenomeni occorra l’unità di tutto il sistema Stato.

Vuole ricordare la figura del maresciallo dei Ros dei Carabinieri Filippo Salvi morto nel 2007 in un dirupo a Bagheria mentre cercava di installare una telecamera per arrivare alla cattura del latitante?

Era uno dei più validi uomini del reparto e nonostante fosse del nord, della provincia di Bergamo, aveva appena 36 anni, ma amava profondamente la Sicilia e credeva nella lotta di liberazione dalla mafia.

Lavocedelcerrano

Direttore Responsabile e Fondatore del Giornale " la Voce del Cerrano"

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